Quando ero al liceo Chrissie Hynde cantava nei Pretenders, ed era un bel personaggio. Mi colpì molto un’intervista dove, alla domanda “come vivi la tua femminilità?”, lei rispose: “Ho le mestruazioni ogni 28 giorni, e ogni tanto mi compro un profumo”. Immagino che volesse sottilmente dare di stupido all’intervistatore, banalizzando la questione. Eppure io già avevo iniziato a capire che la femminilità era una questione maledettamente complicata.
Un paio di anni dopo, per cercare di chiarirmi un po’ le idee, comprai questo libro:
“Non intendo proporre una nuova definizione di femminilità […]; intendo sollecitare l’indagine su un’estetica costrittiva che è andata evolvendosi per migliaia di anni – un’indagine sulle sue origini e sulle ragioni della sua persistenza, che riesca a mettere in luce le limitazioni che essa pone alla libertà di scelta.
Storicamente […] la paura di non essere abbastanza femminili, nello stile o nell’animo, è stata usata contro le aspirazioni individuali e collettive delle donne […] Qualsiasi siano le distinzioni proposte – la signora e la puttana, bellezza provocante o casta, nobile e altruistica dedizione o dipendenza infantile – le contraddizioni intrinseche lasciano qualsiasi donna nell’incertezza: avrà seguito correttamente le istruzioni?
[…] E’ ancora più negativo, probabilmente, il fatto che la femminilità non è qualcosa che si valorizzi con l’età […] Gli anni post-riproduttivi si allungano sempre di più, e questo fa emergere una nuova verità: il problema non è che alcune donne sono un fallimento dal punto di vista della femminilità, ma che la femminilità non può più essere un obiettivo credibile.”