Complicazioni

Quando ero al liceo Chrissie Hynde cantava nei Pretenders, ed era un bel personaggio. Mi colpì molto un’intervista dove, alla domanda “come vivi la tua femminilità?”, lei rispose: “Ho le mestruazioni ogni 28 giorni, e ogni tanto mi compro un profumo”. Immagino che volesse sottilmente dare di stupido all’intervistatore, banalizzando la questione.  Eppure io già avevo iniziato a capire che la femminilità era una questione maledettamente complicata.

Un paio di anni dopo, per cercare di chiarirmi un po’ le idee, comprai questo libro:

“Non intendo proporre una nuova definizione di femminilità […]; intendo sollecitare l’indagine su un’estetica costrittiva che è andata evolvendosi per migliaia di anni – un’indagine sulle sue origini e sulle ragioni della sua persistenza, che riesca a mettere in luce le limitazioni che essa pone alla libertà di scelta.

Storicamente […] la paura di non essere abbastanza femminili, nello stile o nell’animo, è stata usata contro le aspirazioni individuali e collettive delle donne […] Qualsiasi siano le distinzioni proposte – la signora e la puttana, bellezza provocante o casta, nobile e altruistica dedizione o dipendenza infantile – le contraddizioni intrinseche lasciano qualsiasi donna nell’incertezza: avrà seguito correttamente le istruzioni?

[…] E’ ancora più negativo, probabilmente, il fatto che la femminilità non è qualcosa che si valorizzi con l’età […] Gli anni post-riproduttivi si allungano sempre di più, e questo fa emergere una nuova verità: il problema non è che alcune donne sono un fallimento dal punto di vista della femminilità, ma che la femminilità non può più essere un obiettivo credibile.”

Susan Brownmiller, “Femminilità” (1984)

Il Fare

foto dal ciclo di incontri su “Sessismo e media” organizzato da Libere Tutte 

“Centinaia di migliaia di cittadini sono impegnati in associazioni, comitati, campagne, movimenti per fare quella che a seconda dei casi viene definita politica dal basso, politica diffusa, molecolare. Si tratta di organizzazioni e persone che si danno da fare per influenzare le scelte generali, ottenere il rispetto e la promozione dei diritti fondamentali, per la difesa del proprio territorio, per concorrere nel posto dove vivono alla scelte quotidiane degli amministratori pubblici.[…] E’ l’idea di una politica diversa, buona, democratica e diretta, oltre i concetti di potere, potenza, forza”.

Giulio Marcon, “Come fare politica senza entrare in un partito”, Feltrinelli (parzialmente leggibile qui)

Lo psicoevoluzionista sul lettino

Wanda Wulz, “Io + gatto”  (1932)

Se le spiegazioni in termini pseudo-evoluzionisti del comportamento sessuale maschile e femminile anche a voi hanno sempre fatto venire l’orticaria, troverete molto interessante il libro “Donna, una geografia intima”  (1999) di  Natalie Angier (giornalista scientifica, collaboratrice del «New York Times» e vincitrice del Premio Pulitzer per i suoi articoli dedicati alla biologia molecolare e al comportamento animale). In particolare il capitolo 18, che nella traduzione italiana è intitolato “Stereotipi e altre sciocchezze”.

“La psicologia evoluzionista asserisce di aver scoperto i moduli fondamentali della natura umana, in particolare della natura essenziale dell’uomo e della donna […] Ma la psicologia evoluzionista, nella forma in cui è andata disseminandosi nella corrente tradizionale della coscienza scientifica, è un Ciclope nervoso e dispotico, con l’unico occhio intento a lanciare occhiate di soffocante arroganza attraverso una lente maschilista […]

Io voglio soltanto affermare – con uno spirito positivo, davvero – che gli psicologi evoluzionisti hanno preso moltissime cantonate su noi fanciulle, e che noi vogliamo e meritiamo qualcosa di più e di meglio di questi stereotipi a buon mercato […] ci sottopongono a tal punto a un tira e molla che potremmo citarli per maltrattamenti. Da un lato ci dicono che le donne hanno una pulsione sessuale inferiore a quella degli uomini. Dall’altro ci presentano la dicotomia vergine-prostituta come uno stereotipo universale […] Gli uomini hanno pulsioni sessuali più robuste per natura, ma tutte le leggi, i costumi, le punizioni, la vergogna, le limitazioni, le mistiche e antimistiche si scagliano, animate da un ominide furore, contro quella creatura tiepida, sonnolenta e ipoattiva che è la libido femminle.

Come facciamo a sapere che cosa è “naturale” per noi, se quando cerchiamo il nostro desiderio, la nostra libertà, la musica del nostro corpo, guardano a noi come a creature innaturali?”

L’opera èconsultabile in inglese su Google libri, e il cap. 18 è a pag. 322 con il titolo: “Of hoggamus and hogwash. Putting evolutionary psychology on the couch”.

Bianca la Rossa

(foto: Vincenzo Cottinelli)

Un bel volto di donna dallo sguardo vivo e acuto, che prelude alla biografia densa di Storia raccontata nel libro.

“Non era facile in quegli anni, per una donna, acquistare autorevolezza nell’ambiente chiuso e conservatore delle aule dei tribunali, ingaggiare ad armi pari le schermaglie tra accusa e difesa sotto lo sguardo, nel migliore dei casi condiscendente, di colleghi e magistrati, da sempre abituati a considerare appannaggio maschile la conduzione dei processi e il rito teatrale del confronto tra le parti […] Nel mio caso, poi, dovevo superare le diffidenze legate sia al fatto di essere donna sia alla mia militanza politica, passata e presente, nella sinistra: alcuni colleghi mi chiamavano infatti, un po’ scherzosamente, “Bianca la rossa”.”

“Bianca Guidetti Serra è protagonista – e testimone insieme – della storia d’Italia novecentesca nei suoi momenti cruciali: dalla Resistenza (condivisa con gli amici Primo Levi, Ada Gobetti, le migliaia di donne dei “Gruppi di difesa” istituiti insieme ad Ada a Torino), alla militanza nel Partito comunista e poi alla fuoriuscita nel 1956 in seguito ai fatti d’Ungheria. Fino alla scelta di perseguire l’impegno sociale attraverso la professione di avvocato penalista, prerogativa all’epoca di poche donne. Sono gli anni delle battaglie giudiziarie in difesa dei diritti dei lavoratori, delle donne e anche della tutela dell’infanzia […] ” Mi è piaciuto il fare” confessa l’autrice nelle note conclusive del libro a suggello di un impegno nella salvaguardia dei valori civili e delle scelte democratiche durato tutta una vita” (dalle note di copertina del libro)

“Nel mio operare ho anteposto i fatti concreti ai discorsi, la moralità delle persone alle idee. Non voglio dire che le parole e le idee non contino, ma sono più volatili, possono essere piegate a fini diversi”, “non mi sono mai sentita antagonista per principio; quando mi sono battuta contro qualcuno era per difendere qualcun altro”.
Fare, allora, testardamente anche “senza bisogno di sperare né necessariamente di riuscire” secondo il monito di Guglielmo il Taciturno: in questo primato dell’iniziativa come valore in sé, unico in grado di contrastare i lati oscuri del tempo, sembra riassumersi il senso più pieno della vita di Bianca Guidetti Serra. E a noi, oppressi da un senso crescente di fragilità e di impotenza nel nostro opaco presente, non resta che esserle sinceramente grati.” (Antonella Tarpino su “Lo Straniero”)

Sorveglianti

“Nascere donne ha significato nascere sotto custodia, affidate a uomini in uno spazio racchiuso e angusto. La presenza sociale delle donne si è sviluppata in funzione della loro disponibilità a vivere sotto tale tutela entro uno spazio tanto limitato. Ciò è avvenuto, però, a prezzo di una spaccatura: l’io delle donne si è diviso in due. La donna deve guardarsi di continuo. Ella è quasi costantemente accompagnata dall’immagine che ha di se stessa. […] la donna non riesce a evitare di visualizzarsi […]. Sin dalla primissima infanzia, le hanno insegnato e l’hanno convinta a osservarsi di continuo.

E così ella arriva a considerare il sorvegliante e il sorvegliato che ha in sé come i due elementi costitutivi e pur sempre distinti della sua identità di donna.”

 John Berger, “Questione di sguardi”

Gli incubi della Ragione

“Le donne, non essendo soggette a incarichi pubblici, né a funzioni amministrative di sorta, e non avendo neppure diritto di sedere all’Institut, non hanno alcun bisogno di saper leggere e scrivere. […] Considerando che in una casa regnano lo scandalo e la discordia, quando la moglie ne sa quanto e più del marito […]. Considerando quanto la prima educazione dei bambini, necessariamente affidata alla madre, soffre quando la madre è distolta dai propri doveri da manie intellettuali, […] quanto è ridicolo e rivoltante vedere una ragazza da marito, una donna di casa o una madre di famiglia che infilano rime, imbastiscono parole e si macerano sui libri, mentre la sporcizia, il disordine e la privazione regnano in tutta la casa…

[E’] la Ragione che vuole che le future spose non sappiano leggere; […] è la Ragione che prescrive che i mariti siano gli unici libri delle loro mogli; libri viventi, ove ogni giorno e notte esse imparino a leggere il proprio destino”

S. Maréchal, “Progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere ” (1801)

L’ho trovato  citato nell’utilissimo  Vittoria Franco “Care ragazze. Un promemoria”, Donzelli 2010 , che leggevo stamani in autobus.

“Vi sono però  momenti, come quello che stiamo vivendo, nei quali è palpabile il fatto che i diritti non sono acquisiti una volta per tutte, che possono diventare ineffettivi fino alla loro perdita definitiva” (V.Franco)

Storia

“In un primo tempo, per le donne, l’immagine è tirannia. Le mette a confronto con un corpo e un abbigliamento ideali. Suggerisce loro il bene ed il bello. Come comportarsi, vestirsi, secondo l’età, il rango, lo status sociale o matrimoniale, in base al luogo o l’ora. Sulle donne pesa l’occhio inquisitore della famiglia, del vicinato o del pubblico. Beninteso, questo potere delle immagni cambia con il tempo, in funzione del posto che occupano il corpo e la bellezza nello scambio sessuale o nello spettacolo sociale, e secondo il grado di mediatizzazione visiva della città…”

“Per modificare le immagini, bisognerebbe impadronirsene. Tale conquista femminile dell’immagine (…)  resta in gran parte da scrivere (…) le donne hanno realizzato sostanziali progressi, che nonostante tutto si rivelano marginali,  tanto è grande l’inerzia delle strutture, e forse la resistenza che è opposta loro. Perciò hanno modificato ancora poco la propria rappresentazione e l’universo visivo in generale che rimane ampiamente opera maschile. Eppure la strada è aperta. Ma sarà lunga, e ci vorrà molto tempo perché le donne giungano nel mondo così a lungo proibito della Creazione, dominio divino, e perché, così facendo, incorporando queste voci soffocate, queste differenti percezioni, queste altre esperienze, questa stessa estraneità, l’arte diventi veramente universale, inglobando tutta la bellezza del mondo.”

George Duby – Michelle Perrot, “Immagini delle donne” (1992)