Questo post voglio dedicarlo alla donna che mi ha tagliato i capelli dai tempi dell’università fino a quando, poco tempo fa, è andata in pensione. L’unico negozio di parrucchiera dove non abbia avuto il terrore di sedermi, e da dove non sia mai uscita con una crisi di nervi.
Nei miei 20 anni ci siamo divertite a sperimentare asimmetrie varie. Nei 30 mi sentii vecchia, le portai una foto di Peter Lindbergh con un caschetto berlinese retrò e quando tornai al lavoro (allora) in agenzia ippica un cliente indiano mi disse che sembravo “un bambino”. Nei 40 porto i capelli lunghi e ho avuto da lei la miglior manutenzione della scalatura corta, fatta in modo da arrivare esattamente ad accarezzare gli zigomi.
A volte l’ho tradita, cercando nuove emozioni: ma me ne sono sempre pentita. Tornavo sempre, e lei sapeva che sarei tornata.
Una volta, molti anni fa, mentre mi tagliava i capelli le dissi “sai A., se avessi i soldi mi piacerebbe tanto fare una rivista per donne, la chiamerei Un’altra donna, e ci metterei tutto quello che non si trova nelle riviste femminili…”
Lei, da rigorosa esteta, lì per lì ebbe un brivido di raccapriccio quando parlai di donne ritratte nelle loro umane imperfezioni: ma anni dopo si è prestata molto volentieri a farsi fotografare.