Il padre_2 Elinor Carucci

Carucci_My Father and I, 2002

“The camera is a way to get close, and to break free.” 

 Elinor Carucci

 

In un’intervista dal sito Visura Magazine  Carucci rivela che la sua fotografia documenta la vicinanza con i suoi familiari, ma al tempo stesso risponde ad un bisogno di indipendenza, di stabilire un confine, di mettere una certa distanza tra loro e se stessa. Una sorta di “connessione distaccata”, si potrebbe forse tradurre – che mi pare esattamente la qualità delle sue fotografie.

“My work is a documentation of closeness, as well as a need to establish a boundary, a certain distance between them and myself, in a detached and related way.”

A Laura Barton (The Guardian) Carucci spiega che non c’è grande differenza tra fotografie posate o no: è piuttosto una differenza di onestà. Barton conviene che il lavoro di Carucci è caratterizzato da una inflessibile onestà, che sembra manifestarsi soprattutto nella predilezione per fotografare i suoi soggetti svestiti. Predilezione che non è sempre frutto di una scelta deliberata quanto una conseguenza di uno stile di vita che a lei era sempre parso “normale”, fino a che non si è confrontata con le reazioni della gente. Non aveva affatto l’intenzione di provocare, ma si è resa conto che certe sue foto ammiccavano a certi tabù e a certe tensioni inespresse, e neanche pensabili: ma forse, viene da dire guardando le foto, fotografabili. 

“I guess it’s a combination of the way I was at home – the way my mom or dad would walk around in their underwear, or after their bath naked. It’s not like we’re living our lives naked, it’s just before the shower, where I can walk into the bathroom in my underwear and ask my father something. It’s so, so normal and I thought that most families are like that. I realised only after I took those images how unusual it is, because of how shocked people were by my photographs. I realise that some of my pictures were more provocative – like me and my father naked. Even for us, that was a bit weird. But images of me and my mum naked? I’m like, ‘What’s the big deal? You’ve never seen your mum naked?’ And many people said no. I was really surprised.”

Carucci_Father touches my hair, 2001Carucci_Father with white underwear, 1988Carucci_Mom touches Father, 2000

 

Carucci_My Father and I, 1999

La madre 6_Elinor Carucci

foto © Elinor Carucci, dalla serie Closer

Un grazie di cuore a Veronica Vituzzi,  lettrice del blog e amica virtuale,  per avermi ricordato che Elinor Carucci (di cui avevo parlato anche qui) è da inserire a pieno titolo nella serie sulle madri.

A commento di questa foto (e altre ne trovate sul sito) lascio la parola alla stessa Veronica.

“c’è qualcosa di davvero affascinante nelle immagini della madre di Elinor Carucci.  Donna, e anche compagna, madre, nonna, sul suo corpo e il suo sguardo le rughe assomigliano a un qualcosa in più che viene aggiunto, piuttosto che tolto, come se nessuna esperienza cancellasse l’altra e anzi si fondessero, e arrivare a una certa età fosse il traguardo per poter essere finalmente giovani, e vecchi, sensuali, figli e genitori, protettivi e vulnerabili, consapevoli, tutto assieme. La maturità così come dovrebbe essere: ricchezza.”

Postilla: nel novembre 2009  Elinor Carucci venne a presentare il suo lavoro a Firenze,  in un incontro organizzato dalla Galleria dell’Accademia e dalla Fondazione Marangoni. Mostrò le immagini e ne descrisse la genesi, in particolare della serie Closer da cui sono tratte anche le foto della madre. Alla fine ci furono due interventi dal pubblico, di due donne. La prima era turbata e disse di non capire come fosse possibile mostrare a tutto il mondo scene così intime di vita personale e familiare. La seconda si complimentò e ringraziò calorosamente l’autrice per mostrare quelle scene così intime di vita personale e familiare.

Il sesso e lo sguardo_2_Lo sguardo come relazione

“In the capitalist world money was equated with power and power had to be displayed. A naked man could display nothing about his status.

(da Queer-arts forum: 100 Years of Male nudes)

Le donne guardano gli uomini, e non solo viceversa (è arrivata ad ammetterlo anche la pubblicità):  è dunque ovvio che  alcune donne possano “addirittura” fotografare gli uomini, a dispetto di una cultura che non le ha mai incoraggiate in questo senso.

Una delle prime donne che hanno fotografato nudi maschili è oggi una vivace signora di quasi 75 anni, Dianora Niccolini, che trovate anche su Facebook. Nella sua biografia (pag. 61 e sg.) Dianora analizza le ragioni che l’hanno portata a specializzarsi nella fotografia di nudo maschile (per le foto vedi  “The male”, dal menu del suo sito).

La prima era di ordine psicologico: non legò mai con suo padre,  “uno sciovinista di prim’ordine” di nobili origini fiorentine che pretendeva di comandare sua madre – americana,  dallo spirito indipendente. Il travagliato ménage tolse a Dianora ogni voglia di sposarsi, spingendola a cercare relazioni senza coinvolgimento emotivo.  “In photographing gorgeous naked men, I can safely look at young (21+) handsome naked hunks without getting involved…” Fotografare era dunque un modo di relazionarsi con gli uomini stando al sicuro. Fotografare esaltando forme e volumi, poi, richiede l’uso del teleobiettivo – che isola il soggetto e richiede distanza: una perfetta traduzione del desiderio senza coinvolgimento affettivo.

Un’altra ragione era di tipo artistico: essendo cresciuta a Firenze, Dianora era inevitabilmente stata influenzata dalle sue  strade e musei “pieni di statue di uomini nudi”, e soprattutto dalle sculture di Michelangelo.

L’ultima era una  ragione politica: esporre foto di nudi maschili nell’America dei primi anni Settanta era tabù, e lei volle  infrangere questo divieto, riuscendo a far accettare la sua prima esposizione sul tema nel 1975.  Ne ebbe una positiva recensione sul  New York Times, contribuendo ad aprire la strada (e  forse anche ad influenzarli) a Mapplethorpe ed altri che poi si sono cimentati nel genere, ed anche a certa fotografia pubblicitaria.

Agli opposti dello sguardo estetizzante e distaccato di Niccolini, ad inizio anni ’80 Nan Goldin fotografa il suo ragazzo e se stessa mentre lo guarda (vedi qui sopra “Nan and Brian in bed”, 1981, in copertina del suo libro “Ballad of sexual dependency”), o – in un’altra foto – lui disteso, nudo, con la mano di lei sul suo sesso. Tutto in scarsa luce ambiente, o flash. Non è la forma quello che Goldin ci vuol dire – è il contatto, la relazione. Non la bellezza di un corpo ma il calore del sangue. Che si tratti di fotografare i suoi amori, i suoi amici o gli amori dei suoi amici, il suo è lo sguardo inclusivo della focale corta, che richiede il coinvolgimento, l’essere dentro la scena. “I never took pictures with a long lens, it is always short and I have to get close to people I photograph.” (intervista)

Ad un primo sguardo sembrerebbero porsi sulla stessa linea di Goldin le foto della serie Crisis di Elinor Carucci, in cui la fotografa riprende se stessa e suo marito in un periodo difficile del loro rapporto. Qui però l’uomo, pur comparendo, non è  il vero soggetto delle foto: è la figura di Elinor la protagonista, per luce o inquadratura.  Solo nell’ultima immagine della serie, “Will it feel the same” dove sono l’uno di fronte all’altra, inquadrati entrambi controluce senza testa e lei è coperta da un telo, lui nudo riesce ad acquistare più rilievo. Ma Carucci fotografando dà l’impressione di parlare essenzialmente di sé. Se si osserva bene la serie e i titoli delle foto, il suo uomo sembra essere lì non per essere guardato, ma in quanto catalizzatore dei sentimenti ed emozioni di lei.

continua…