Spunti

Nel mese di maggio sono stata invitata a parlare di fotografia al corso universitario di Pedagogia dei Media. La docente ha mostrato alla classe (mista) il documentario “Il corpo delle donne”, che è stato poi commentato. Ho scelto di agganciarmi all’affermazione di Zanardo secondo cui le donne si guardano tra di loro come se avessero introiettato lo sguardo maschile. Partendo da qui ho mostrato loro alcuni esempi di sguardi di artiste in relazione all’identità femminile, iniziando con le fotografie dalla serie  “Untitled Film Stills”  realizzate da Cindy Sherman nei tardi anni ’70, in cui l’artista mette in scena se stessa in costumi, pose e ambienti tipici di certi generi cinematografici. Il punto di vista del cinema, secondo l’analisi della critica femminista Laura Mulvey, riproduceva il punto di vista maschile rendendo la donna tipicamente oggetto dello sguardo: Sherman in questi fotogrammi fittizi accentua questo voyeurismo e ri-proietta sullo spettatore il suo stesso desiderio, rendendosi ai suoi occhi opaca, respingente, caricatura della femminilità come mascherata.

Abbiamo poi visto come negli stessi anni Francesca Woodman (1958-1981) esprimesse uno sguardo su se stessa completamente autonomo dalle rappresentazioni mediatiche, influenzato forse dal surrealismo ma soprattutto risultante di un personalissimo percorso interiore,  in cui la ricorrenza del nudo e la forte sensualità dell’artista testimoniata da chi la conobbe (cfr. “The Woodmans”) non si incanalano mai in forme precostituite.

Tra le artiste attuali ho scelto la bravissima  Giulia Caira (1971), che dalla fine degli anni ’90 usa foto e video per stravolgere  fino al grottesco gli stereotipi del femminile. Nelle foto qui sopra la vediamo come casalinga disperata, distesa sul pavimento nuda e avvolta nel domopack, imprigionata in panneggi celeste-madonna a metà tra santità e centro estetico, da cui affiora come naufraga in alto mare. Tratto tipico della contemporaneità, nel lavoro di Caira è ben presente il tema dell’ossessione per la perfezione corporea, ironicamente espresso nel video “Non conforme” dove l’artista “si misura” con un metro da sarta sulle spersonalizzanti musiche dei Kraftwerk (per vederlo cercatelo qui tra i suoi video).

Per raccontare un altro versante stilistico ho fatto passare tra i banchi il fondamentale libro “Women” di Annie Leibovitz, mirabile saggio antropologico in cui l’universo femminile è realisticamente rappresentato in tutta la sua infinita varietà.

Ho poi proposto ai ragazzi la domanda che si ritrova in alcuni forum di fotografia: perché nei gruppi fotografici ci sono più autoritratti al femminile che al maschile? Al di là delle ricorrenti risposte secondo cui “le donne sono più abituate a mostrare i propri stati d’animo”, o “le donne sono più vanitose”, ho suggerito che forse la ragione principale è che la donna ha iniziato storicamente da pochissimo tempo a vedersi  – dopo essersi sempre vista attraverso lo sguardo maschile (cfr. J. Berger, “Questione di sguardi”, e P. Bordieau, “Il dominio maschile”).

Infine ho parlato delle donne che fotografano gli uomini riprendendo quanto detto qui in questo post, mostrando con gli esempi di Niccolini, Goldin e Carucci la differenza tra un tipo di sguardo estetizzante-oggettivante che esalta le caratteristiche fisiche e lo sguardo che fotografa piuttosto l’intimità con l’altro. Anche qui ho invitato a chiedersi perché ci sono poche donne che fotografano uomini: si sente spesso dire che le donne sarebbero “meno visive”, ma se così fosse non ci sarebbero tante fotografe….piuttosto anche in questo caso è bene domandarsi quanto abbiano finora influito le ragioni socio-culturali.

Il tempo è stato breve, ma spero di aver dato almeno qualche spunto di riflessione.

Riferimenti immagini:

1-2-3 Cindy Sherman da Untitled Film Stills(1977-1980)

4-5-6 Francesca Woodman On being an angel #1 (1977),  Eel Series  (1977-78), NewYork (1979)

7- Giulia Caira da Deja vu (2001-02) e 8-9 Untitled (1997-99)

12 Pensieri su &Idquo;Spunti

  1. Confesso di non conoscere benissimo Laura Mulvey la feminist film theory e istintivamente diffido di chi analizza l’arte cinematografica attraverso lenti “politiche” (per quanto ogni analisi sia legittima)..ci terrei però a specificare che le donne della Hollywood classica, per quanto “oggetto dello sguardo maschile” non erano di per sè un’immagine maschilista o avvilente, penso a a dive, attrici indimenticabili e diversissime come Marylin Monroe, Lauren Bacall, Vivien Leigh, Ingrid Bergman, Anita Ekberg ne La dolce vita, la Barbara Stanwick de La fiamma del peccato..non sono donne-oggetto.
    Comunque, da cinefilo, mi piace ricordare che anche la Hollywood classica ha avuto (anche se poco note) le sue registe donne..penso ad Ida Lupino.
    Scusate se vado OT

  2. ciao Paolo, non sei OT ma nessuno ha parlato di immagine “avvilente” a proposito del vecchio cinema…è un discorso diverso – un problema a monte. Puoi diffidare del punto di vista politico se pretende di essere esaustivo della complessità dell’arte, ma ha sempre una sua valenza in quanto tutto è politico – niente e nessuno è avulso dalla società, nemmeno chi si ritira in un’isola deserta.
    E le immagini in particolare hanno potere politico: è di Wim Wenders l’affermazione che “la decisione più politica che puoi prendere è dove dirigere gli occhi della gente. In altre parole, ciò che mostri alla gente, giorno dopo giorno, è politico”.

    • Bè forse Wenders (ho visto ormai diversi anni fa the million dollar hotel, bellissima fotografia, ma per il resto un po’ deludente, a parer mo) intende la “politica” in un senso molto più ampio di quello che gli attribuisco io. Sì in effetti quello che non sopporto è quando l’analisi politica, ideologica e/o morale pretende di essere esaustiva e quindi non ti deve piacere l’ispettore Callaghan oppure certi film di Peckinpah perchè sarebbero “di destra”

  3. non hai visto i primi Wenders? se, come mi sembra di aver capito, studi spettacolo non puoi perderteli…
    ps la politica HA un senso ampio, anche chi se ne disinteressa ci è dentro per forza di cose – anche soltanto perché usufruisce dei servizi dello stato e delle amministrazioni, che possono cambiare di molto a seconda del colore degli amministratori…a proposito spero che tu vada a votare il 12 e il 13, ciao 🙂

  4. la mancata visione dei primi Wenders è una grave lacuna me ne rendo conto,tra l’altro mi risulta che secondo la critica sarebbero i suoi film migliori. Prima o poi troverò il tempo di vederli, vorrei cominciare da Paris, Texas
    Sì, ai referendum vado a votare, ciao!

  5. Ciao Laura!
    Bellissimo post 😉

    Sono perfettamente d’accordo con te quando affermi: “ho suggerito che forse la ragione principale è che la donna ha iniziato storicamente da pochissimo tempo a vedersi – dopo essersi sempre vista attraverso lo sguardo maschile” – del resto, come contraddire i testi di Bourdieu?
    A sostegno di quanto dici vorrei riportare un passaggio del libro “Tutto sull’amore” di bell hooks, visto che apprezzi.
    “Uno dei motivi per cui il pettegolezzo è tradizionalmente più femminile che maschile è che ha sempre rappresentato un’interazione sociale in cui le donne si sentono a loro agio e possono esprimere ciò che davvero pensano e sentono. Spesso, invece di sostenere chiaramente e al momento giusto ciò che pensano, le donne dicono quello che ritengono possa far piacere a chi le ascolta. Poi, chiacchierando in intimità, tirano fuori i loro veri pensieri.”
    Questo per rispondere a coloro che ritengono le donne “più abituate” ad esprimere i propri stati d’animo. Sforziamoci sempre di ricordare come le donne non siano naturalmente, ma culturalmente portate ad usare l’emotività come strumento di conoscenza ed espressione.
    Questo grande mezzo, da rivalutare a mio avviso, è stato a lungo una gabbia perchè l’unico concesso loro.

    ps: vale lo stesso per gli uomini gay. Il mio ex mi accusava di continuo di comunicare e ascoltare troppo attraverso i sensi e l’emozione e poco attraverso la logica. Non è un caso che io sia gay – è sempre molto faticoso, da bambini, sentirsi alla pari degli altri e usare i loro strumenti quando sai che pari, ai loro occhi, non lo sei.

  6. ciao Amedeo, sai che io la vedevo più al contrario? nel senso che esprimere i propri stati d’animo è la “normalità”, e gli uomini in questo sono penalizzati perché la cultura li ha sempre repressi…

  7. Mi spiego.
    Io considero l’espressione e la comunicazione emotiva dei propri stati d’animo una ricchezza unica – per intenderci: mando a quel paese il mio ex e e mi tengo stretta questa mia grande capacità! 😉
    Magari fossero di più le persone in grado di svilupparla!
    Sono d’accordo con ciò che scrivi. Volevo solo dire che, purtroppo, agli uomini viene insegnato che non possono, non devono esprimersi, comunicare ciò che provano, mentre alle donne sì – anche se solo in certe e a certe condizioni. E’ cultura, ecco.
    Ma beata ‘sta cultura!
    Sono stato più chiaro?

  8. chiarissimo, grazie – anche della testimonianza personale 🙂
    Mi viene in mente qualcosa che ho sentito di recente alla presentazione di un libro sugli stereotipi nei ilbri scolastici. Un insegnante di scuola superiore raccontava che i suoi studenti maschi non si confidano facilmente di persona, ma riescono a farlo contattandolo per email o via FB. In base a questo si interrogava su un possibile modo “altro”, più riservato in confronto a quello “femminile”, di esprimere l’emotività.
    Mi pare si cominci ad ammettere che tutti devono esprimere le emozioni, è già qualcosa.

  9. Laura, che bel post, per me che non ne so quasi niente di storia della fotografia è preprio acqua nel deserto, avrei voluto essere a questa tua lezione.
    Grazie 🙂

    Tra le altre cose, un’amica mi ha segnalato che un sito per adoelscenti, girl power, ha una posta del cuore al maschile, non so quanto sia affidabile nei contenuti, ma di sicuro, anche solo pensare ad un a “posta del cuore per uomini”, è bello.

  10. Pingback: Giulia Caira | Un'altra Donna

Lascia un commento